top of page
  • Immagine del redattoreLe Due Frida

Una lucertola a Casarsa

di Anna Grespan



Sono mesi che attendiamo questo giorno e finalmente è arrivato. Domenica 26 giugno 2022: il sole cucina la pelle, ma non ci interessa, si va a Casarsa, si va da Pier Paolo.

Il treno procede in orario e con lui le nostre aspettative, le nostre domande che bramano risposte. Se non fosse stato per un breve attimo di distrazione, saremmo giunte a destinazione prima di mezzogiorno, ma il destino e il nostro vivere sempre un po' dentro e fuori la realtà hanno deciso che avremmo perso la fermata, quindi dopo una veloce visita alla stazione di Codroipo, abbiamo preso un altro treno per tornare indietro e mettere piede a Casarsa, finalmente.


Secondo Wikipedia, Casarsa della Delizia è un comune italiano di 8.195 abitanti nel Friuli-Venezia Giulia e si trova nel punto di confine tra la bassa e l'alta pianura, in un'area equidistante dall'arco alpino e dal mare Adriatico. Molto bene, direte voi, ma perché passare un'intera giornata proprio lì? La bassa e l'alta pianura c'entrano poco, in effetti. In quel piccolo paesino friulano nacque la mamma di uno dei più grandi poeti del '900 italiano: Pier Paolo Pasolini. Dico poeta, ma avrei potuto dire scrittore, regista, pittore, calciatore, giornalista, filosofo, politico, pensatore. Una serie infinita di attività in cui riversò l'interezza della sua passione, intelligenza e curiosità. Ho scelto poeta come prima parola per definirlo: un termine che racchiude quella gentilezza e profondità che ben lo rappresentano; il poeta è colui che traduce in versi il suo sentire, che legge il mondo attraverso delle lenti più efficaci rispetto alle nostre, ci indica la strada da percorrere e quella da evitare, prevede quello che noi a volte non capiamo. Pier Paolo era tutto questo e molto di più. Un “di più” che non so esprimere, perché non si può racchiudere e trattenere, è forza vitale che esplode e trascende ogni barriera e definizione. Dico poeta anche affidandomi all'orazione di Alberto Moravia il giorno del funerale del suo migliore amico:


“Abbiamo perso prima di tutto un poeta. E poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto in un secolo. Quando sarà finito questo secolo, Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno come poeta. Il poeta dovrebbe esser sacro.”



Così, quasi in un pellegrinaggio “sacro” appunto, abbiamo camminato tra le strade di Casarsa, dove Pasolini visse fra la fine del 1942 e l'inizio del 1950. Prima di recarci al Centro Studi, che ha sede nella Casa Colussi-Pasolini, dimora della famiglia materna del poeta, ci siamo lasciate accogliere dalla piazzetta centrale, quasi deserta. A lato, un bar, di quelli segnati dallo scorrere delle stagioni, riporta sulle pareti esterne alcuni versi in friulano di Pasolini. Dopo pranzo, decidiamo di prendere un caffè proprio lì, avvolte da quelle parole che non comprendiamo nell'immediato, ma ci parlano comunque. Più di settant'anni fa, lo stesso paese che ora è tappezzato dai pensieri di Pier Paolo Pasolini, lo cacciò, si vergognò di lui per uno scandalo che coinvolse il maestro di scuola (perché allora era questa la sua principale occupazione) e dei giovani ragazzi, appartati insieme a lui durante la festa di Santa Sabina a Ramuscello. Paradossale la vita, a volte.


Il Centro Studi si presenta con un ampio muro grigio su cui è affissa una foto che ritrae Susanna Colussi e il figlio in un tenerissimo scambio di sguardi. Di fianco all'immagine, una poesia tratta da La meglio gioventù (1954), nella quale cogliamo cosa fosse Casarsa per lo scrittore: l'odore della pioggia, i prati di “erba viva”, un “tempo antico” dove poter respirare l'innocenza della giovinezza. Poi, delle vetrate opache con la riproduzione di alcune tavole del meraviglioso fumetto Pasolini (2015) firmato da Davide Toffolo, nelle quali leggiamo dell'idea di cinema come “lingua della realtà” che permette di “vivere dentro le cose” e dell'illusione di scrivere poesia, che però diventa un bisogno irrefrenabile. Dobbiamo ancora entrare, eppure la sua essenza è palpabile, vive nel sole che si infonde nel cemento di questo edificio, è nell'aria calda che ci soffia sulla faccia ed è tagliente, ma ci fa respirare meglio, come la sua arte.


All'ingresso troviamo un ragazzo, è laureato in Lettere e sembra lavorare lì da parecchio, è stupito di vedere due giovani pronte a sfidare il caldo per il percorso guidato nei luoghi pasoliniani. E invece eccoci qui, emozionate e curiose. Ci spiega che Casarsa si svuota nel periodo estivo e le visite al Centro Studi non sono poi così numerose. Siamo un popolo che dimentica in fretta la sua storia, purtroppo. E se un personaggio è risultato scomodo, è ancora più facile cancellarlo, sminuirlo, semplificarne la complessità, che avrebbe bisogno di una cura e un'attenzione troppo grandi per i ritmi incalzanti del nostro presente.

La guida arriva in ritardo, appena iniziata la visita salta la corrente elettrica. C'è qualcosa che tenta di frenare la nostra corsa verso le immagini, le parole, le idee che hanno arricchito la permanenza del poeta in questo luogo sperduto. Nonostante l'inizio difficile, passiamo nelle diverse stanze che compongono la casa di Pier Paolo e Susanna: alle pareti foto di famiglia, pezzi di vita, estratti di testi; nelle teche prime edizioni delle opere che legano la produzione di Pasolini al territorio friulano. Alcuni esempi sono Poesie a Casarsa, La meglio Gioventù, Quaderni rossi (una sorta di diari, che sono stati alla base dello scritto Atti impuri), Amado mio (che nel podcast Perché Pasolini? viene indicato da Walter Siti come uno dei romanzi a cui è più affezionato).


Al piano di sopra una sala dedicata alla passione per il calcio e un'altra dove troviamo le foto dei suoi scolari a Versuta. Qua e là degli schizzi a matita, per la maggior parte autoritratti. Forse disegnava il suo stesso volto per guardarsi con occhi ogni volta diversi, per tentare di raggiungere quella comprensione e accettazione di sé che non ha mai colto, ferito incessantemente dal senso di colpa.


Nella sala che fu la sede dell'Academiuta di lenga furlana, fondata da Pasolini nel 1945 con lo scopo di conservare ed esaltare le potenzialità della lingua friulana in contesti culturali, si possono ammirare alcuni dipinti del poeta, che fanno intravedere la sua grande sensibilità anche nel campo della pittura.

Lasciato il Centro Studi, ci dirigiamo a bordo della Panda della guida verso due piccole chiesette, intime e raccolte, situate in due frazioni limitrofe. Sono luoghi ricchi di affreschi che ci raccontano la storia antica di Casarsa e che sicuramente avranno colpito il gusto artistico melanconico di Pasolini. Davanti ad una delle due chiese, si trova una fontana che probabilmente ha ispirato il seguente componimento incluso nella raccolta Poesie a Casarsa:


“Fontana d'acqua del mio paese.

Non c'è acqua più fresca che al mio paese.

Fontana di rustico amore.”



Nella sua semplicità, questa poesia riesce a farci entrare nella “rustica” vita, priva di fronzoli e sovrastrutture, che Pier Paolo tanto amava perché lontana dal frenetico avanzare della città.

L'ultima tappa del nostro percorso è il cimitero di Casarsa dove gran parte della famiglia di Pasolini è sepolta. Sappiamo che sarà il momento più toccante della giornata, perché il corpo di Pier Paolo giace proprio lì, accanto alla venerata madre. Sembra di andare a salutare un amico per rendergli giustizia dopo la discriminazione e l'incomprensione subite: sono passati 100 anni dalla notte maledetta della tua uccisione e due ragazze insicure e impaurite, in questo mondo che è diventato proprio ciò che tu non volevi, sono venute a farti visita per dirti solo grazie; tu non lo sai, non lo puoi sapere, ma hai insegnato loro ad essere libere. Poso sulla lapide il biglietto del cinema usato qualche mese fa per vedere Comizi d'amore e La ricotta e sul retro lascio scritto i nostri ringraziamenti, più o meno come sopra descritti.



Il cuore sembra battermi in gola, le lacrime si affacciano sulla parte inferiore dell'occhio, ma non hanno il coraggio di scendere. La guida usa un tono di voce più basso, non vuole rompere del tutto quel silenzio che desidera proteggerci, però freme per raccontarci una storia, la sua: non era convinta di voler occuparsi del percorso pasoliniano a Casarsa, ma poi organizza una gita a Porzûs, dove il fratello del poeta, Guido (o Ermes se usiamo il nome di battaglia da partigiano), venne ucciso, e una lucertola l'accompagna lungo tutta la scalinata che porta al monumento ai caduti. In apparenza un dettaglio ininfluente e invece da quel giorno un piccolo rettile verde si palesa ogni volta che si trova in posti in qualche modo legati alla figura di Pasolini. La mia mente razionale è decisamente scettica rispetto a questo racconto, ma subito dopo succede qualcosa che la logica fatica a spiegare. La guida, continuando con voce leggera, legge un estratto di una lettera del poeta rivolta all'amico Luciano Serra, datata 10 luglio 1942:


“Rido e soffro con somma decisione. Il riso è vero, la sofferenza è congenita. Io e tu crediamo al riso: nella vita a vele spiegate; al futuro in bonaccia. Noi siamo poeti. L'ambizione è coscienza di noi. Il futuro è certo. […] Questi sono, dal punto di vista della comodità, i più brutti della mia vita. Ma la vita pianta le sue radici dappertutto, e la coda le rinasce come alle lucertole. Io vivo.”


La guida non arriva nemmeno alla fine della citazione e la nostra attenzione viene attirata da una lucertola che in quel momento si trova esattamente sopra la tomba di Pasolini. Prima non avevamo notato lucertole sul terreno, eppure eccola lì davanti ai nostri occhi esterrefatti.

Non abbiamo foto del cimitero, non ci è venuto in mente di immortalare quel luogo, forse non sarebbe stato neanche molto rispettoso. Le sensazioni, però, sono archiviate gelosamente dentro di noi: lo stupore, la tenerezza, la gratitudine verso una persona che ha dato voce alle sue idee, declinandole in molteplici forme espressive, senza paura del giudizio, e cercando di avviare un continuo dibattito, che, se accolto, forse avrebbe potuto regalarci una società diversa da quella in cui viviamo oggi, più libera e inclusiva.

Grazie Pier Paolo, grazie alla tua coda di lucertola, che rinascerà sempre dentro ai libri che leggeremo, ai film che guarderemo, alle opere d'arte che ammireremo. Un pezzo di te, sempre pronto a rivivere.


Note bibliografiche





bottom of page