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Morante e Moravia: I Differenti

di Anna Grespan


Parlare di una Signora e un Signore che hanno attraversato il '900 italiano, lasciando la loro impronta su quasi ogni ambito della cultura, non solo la letteratura, ma anche il cinema e l'arte, risulta davvero impegnativo. Ma ci proviamo. La Signora in questione è Elsa Morante, il Signore è Alberto Moravia. E qui forse dovremmo smettere di scrivere, rinunciare, e lasciare che l'altisonanza di questi nomi parli al posto nostro. Invece no, proseguiamo e chiariamo fin da subito che non intendiamo soffermarci sul valore dei loro lavori presi singolarmente, desideriamo piuttosto esplorare l'intreccio intimo, e mai davvero sciolto, delle loro vite. La loro unione va al di là del normale rapporto tra due coniugi: è stata un'amicizia, una dipendenza, un'ossessione, è stata odio ed incomprensione, ma anche supporto ed amore sincero. Sicuramente una relazione non convenzionale e fuori dal comune, che vale la pena raccontare.

L'intricata storia che stiamo per narrarvi ha inizio un freddo novembre del 1936. Siamo all'interno della Birreria Peroni di Piazza Santi Apostoli, Roma. Un gruppetto di amici sta cenando. Anche il giovane pittore Giuseppe Capogrossi è seduto al tavolo ed ha uno scopo preciso per la serata: far conoscere lo scrittore che l'anno prima aveva pubblicato Ambizioni sbagliate ed una giovane donna riccioluta e passionale, che sta per muovere i primi passi nel mondo della letteratura. Alla fine della cena, Elsa fa scivolare le chiavi di casa sua tra le mani di Alberto e così, audacemente, comincia il lungo sodalizio che ha unito per quasi trent’anni due pilastri della cultura italiana.



Il primo incontro tra i due è questo appena descritto, ma, come sostiene Anna Folli nel suo libro MoranteMoravia. Storia di un amore, il loro legame sembra risalire a molto tempo prima, ad un'infanzia difficile che li avvicina:


“In comune, Elsa e Alberto hanno l'incrinatura invisibile di un dolore che dall'infanzia li ha segnati per sempre. Per colmare quel vuoto, entrambi hanno scelto la letteratura come passione totalizzante, come l'unico destino in cui riconoscersi. Ed è la scrittura a dare un senso e un ordine al loro mondo.”


All'età di 9 anni Alberto avverte i primi sintomi della tubercolosi ossea, che nel 1924 lo costringerà a 16 mesi di immobilità. Durante questo lungo periodo di convalescenza, a soli 18 anni, Moravia compone ogni frase di uno dei suoi più grandi successi ad alta voce, e solo in un secondo momento trascrive il tutto su carta. Infatti, la prima stesura de Gli indifferenti non presenta né punti, né virgole, ma solo lineette per segnalare la cesura delle frasi. Questa esperienza ci mostra tutta la grandezza di un maestro delle parole, il talento innato che si fa strada in mezzo alla sofferenza.

Un altro tipo di dolore colpisce Elsa, quando a 10 anni scopre un segreto che la segnerà per tutta la vita: colui che crede essere suo padre in realtà non lo è. Augusto, il marito della madre, è impotente e, purché non si venga a sapere del suo problema, presenta alla moglie Francesco Lo Monaco, che diventerà il padre biologico di Elsa e i suoi fratelli. La menzogna nella quale è vissuta fino a quel momento le fa perdere ogni certezza e, forse per questo, non smetterà mai di cercare la verità nella scrittura.

Il trauma che entrambi hanno subito nell'infanzia li spinge a cercare un rifugio, prima nei libri, e poi nel loro amore, che viene celebrato al suo culmine il 14 aprile 1941, il giorno del matrimonio. Purtroppo, a partire da quell'anno la coppia si trova a scontrarsi con l'asprezza del periodo storico, caratterizzato dall'oppressione del fascismo e dall'imperversare della guerra. Moravia è scomodo al regime per due ragioni: il padre è ebreo e le sue opere non si allineano ai valori proposti dalla propaganda fascista. Per questo, inizialmente, Alberto firma i suoi scritti con uno pseudonimo, ma in seguito, viene escluso dai giornali con cui collabora. Quando cade il fascismo, lo scrittore commette un passo falso e pubblica alcuni articoli di chiaro stampo antifascista ne Il Popolo di Roma. Pochi giorni dopo, viene avvisato dall'industriale illuminato Adriano Olivetti che i tedeschi stanno per perquisire casa sua. Non trovando nulla di compromettente, lo lasciano in pace, ma una notizia ancora peggiore giunge all'orecchio di Moravia: un giornalista ungherese lo informa che il suo nome è all'interno della lista di persone da deportare in Germania. Non c'è tempo da perdere: Elsa e Alberto lasciano l'amata Roma e fuggono a Capri, e poi in Ciociaria. E' qui che, da settembre del 1943 a maggio del 1944, si nascondono in una stalla presa in affitto da un contadino. Sono giorni di grande angoscia e apprensione, anche se, i due riescono a stringere un'intesa unica proprio in quella condizione di estrema precarietà. L'armonia che si crea nella coppia, e che si perderà negli anni avvenire, è talmente impressa nei ricordi della Morante che narrerà le vicende di quei mesi nel racconto Il soldato siciliano, appartenente alla raccolta intitolata Lo scialle andaluso.

Dopo questo periodo buio, arriva finalmente il successo per Moravia con la pubblicazione nel 1947 de La romana. Elsa è ovviamente felice per il marito, ma viene travolta dalla fama di Alberto e non sopporta di essere etichettata come “la moglie di Moravia”. Da molti anni coltiva un obiettivo: affermarsi come scrittrice per essere ricordata solo ed esclusivamente come Elsa Morante, senza il bisogno di nessun appoggio esterno, se non quello della sua penna. Un anno dopo l'uscita de La romana, Menzogna e sortilegio arriva in libreria e consacra la Morante come una delle più amate autrici del nostro tempo. Grande sostenitrice del romanzo è Natalia Ginzburg, che all'epoca lavora all'Einaudi e fa pubblicare lo scritto, definendolo “un libro di una lacerante tristezza, ma di una grande serenità insieme”. Natalia è sicura che Menzogna e sortilegio vincerà il Premio Viareggio, ma questo sarà vero solo a metà: Elsa dividerà la vittoria con Aldo Palazzeschi. In quell'occasione succede qualcosa che ci fa comprendere il carattere sensibile, e a volte schivo, di Elsa, che si dimostra così lontana dall'affabilità di Moravia. Dopo la premiazione, la Morante non si fa trovare dai giornalisti che desiderano intervistarla e il giorno successivo confessa:


“Quando per la prima volta ho visto la copia stampata sono scoppiata a piangere. Mi sentivo messa a nudo davanti a tutti. In quel momento, avrei voluto tenerlo solo per me, ben chiuso in fondo a un cassetto.”


Natalia Ginzburg


Nonostante la fama venga gestita in maniera molto più disinvolta da Alberto, Elsa continua instancabile a scrivere e, dopo 5 anni di duro lavoro, pubblica il suo secondo importante romanzo: L'isola di Arturo. In quest'opera la Morante sfoggia una facilità di narrazione invidiabile, tanto è vero che Italo Calvino dirà del libro: “qui c'è l'abbandono a un puro raccontare”. Dopo circa un anno da questa affermazione, L'isola di Arturo vince il Premio Strega nel 1957 ed Elsa è la prima donna ad ottenere questo riconoscimento. Un altro grande libro, che verrà molto tempo dopo questi due primi successi, è La storia (1974). In un periodo in cui si superano difficilmente le centomila copie, se ne vendono nel giro di pochi mesi seicentomila. Una delle ragioni di questi numeri è la scelta della Morante di mantenere un prezzo di copertina basso, in modo che il libro sia accessibile a tutti. Vi sono pareri contrastanti circa questo romanzo: amato dal pubblico, ma spesso giudicato sentimentale e retorico dalla critica militante. L'amico di vecchia data Pier Paolo Pasolini preferirà la vena poetica di Menzogna e sortilegio e de L'isola di Arturo rispetto al linguaggio più misurato de La storia.


L’amicizia che lega la coppia Morante-Moravia al poeta, scrittore e regista Pasolini è molto speciale. A conoscerlo per prima è la Morante, grazie al pittore Toti Scajola, e resta incantata dalla genialità, dalla timidezza e dallo stupore di Pier Paolo, che guarda al mondo come un unico immenso miracolo. Secondo la Folli, i due hanno in comune una caratteristica in particolare: “un identico bisogno di scavare in se stessi fino a farsi del male”. Tra il novembre del '55 e il febbraio del '56, Moravia, convinto da Elsa, pubblica Le ceneri di Gramsci su Nuovi Argomenti, la rivista politico-letteraria da lui fondata insieme ad Alberto Carocci e finanziata da Olivetti. Il poemetto di Pasolini, quindi, incontra il pubblico grazie all'aiuto di Moravia in un momento molto delicato per Pier Paolo, che sta affrontando le accese polemiche intorno al suo romanzo Ragazzi di vita, accusato di pornografia ed escluso sia dal Premio Strega che dal Viareggio. Il trio si avventurerà in vari viaggi insieme, l'ultimo dei quali sarà in India nel gennaio del 1961. In seguito, alcune divergenze allontaneranno soprattutto Elsa da Pier Paolo. Nonostante questo, la Morante è presente tra la folla il giorno del funerale di Pasolini e un anno dopo gli dedica questi versi:


“La tua vera diversità era la poesia.”



Il 2 novembre 1975 Pasolini viene brutalmente ucciso sulla spiaggia dell'idroscalo di Ostia. Appena avvisato, Alberto accorre sul posto, anche se il corpo è già stato identificato da Ninetto Davoli. Sarà Moravia a tenere una profonda orazione davanti alle centinaia di persone che affollano Campo dei Fiori in occasione del rito funebre. Alberto elogia la grandezza di Pasolini come poeta, ma poi si concentra su Pier Paolo, l'uomo e l'amico, morto solo, incompreso e discriminato:


“Quest'immagine che mi perseguita di Pasolini che fugge a piedi, inseguito da qualche cosa che non ha voluto e che è quello che lo ha ucciso, è un'immagine emblematica di questo Paese. E' un'immagine che deve spingerci a migliorare questo Paese, come Pasolini stesso avrebbe voluto.”


A discorso concluso, Elsa si fa strada tra la gente e, avvicinandosi ad Alberto, gli bacia le mani, quasi con devozione. Questo gesto non ha bisogno di parole, così la Morante se ne va a passo veloce lungo via della Corda, intrappolata nei ricordi.

Come accennato all'inizio, la Morante e Moravia non si occupano solo di letteratura, ma la loro influenza raggiunge ambiti culturali ben più ampi. Infatti, nei primi anni '50 Roma è la capitale europea delle avanguardie artistiche e i due frequentano regolarmente le gallerie della città: la Tartaruga fondata dal fotografo Plinio De Martiis; la Pesa, punto di riferimento per il Neorealismo; la Casa d'Arte Bragaglia; la Galleria Obelisco. In particolare, Alberto collabora in un paio di occasioni con l'artista Mario Schifano, conosciuto al Caffè Rosati insieme ad altri due noti pittori dell'epoca: Franco Angeli e Tano Festa. Riferendosi al trio e agli artisti in generale, Moravia afferma:


“Hanno sempre qualcosa al tempo stesso di artigianale e di creativo, mentre lo scrittore che non sia geniale è spesso un piccolo borghese. Insomma il pittore è sempre artista, lo scrittore solo qualche volta.”


Mario Schifano Tano Festa Franco Angeli



Fin dal dopoguerra, Moravia si dedica anche al cinema come critico e recensore prima per La nuova Europa, Libera stampa ed il programma radiofonico della Rai, e poi dal 1950 per L'Europeo e L'Espresso. L’interesse per l'arte cinematografica emerge spesso tra le pagine dei suoi libri. Per esempio, in un breve passaggio de Gli indifferenti leggiamo:


“[...] era la corsa delle speranze, che toglie il respiro, fa tremar l'anima, illude e finalmente si dissolve lasciando la mediocre realtà; esattamente come al cinematografo, quando si fa luce e gli spettatori si guardano fra di loro con facce disincantate e amare.”


Anche Elsa cura una rubrica di cinema per la rivista Mondo e, stranamente, quando Alberto lascia il programma alla radio, accetta di sostituirlo. Nel novembre del 1951, però, giudica in maniera negativa il film di guerra Senza bandiera, che dal suo punto di vista fa trapelare una certa nostalgia per il regime fascista. Per questo, la direzione della Rai la invita ad attenuare i commenti ritenuti troppo critici e diretti. Ovviamente, l'amore per la verità e la libertà di pensiero non permette alla Morante di accettare simili compromessi e questa sarà la sua risposta:


“In seguito a questo episodio del quale non ho ricevuto nessuna spiegazione che soddisfi la mia coscienza e che offende non soltanto me ma tutte le persone della cultura, è chiaro che non è più, d'ora innanzi, possibile la libera ed onesta espressione delle proprie opinioni attraverso la Radio. Per cui, con rincrescimento, devo comunicare alla S.V. che da oggi io lascio la mia rubrica alla Rai.”



Per una bizzarra coincidenza, il 1936, l'anno in cui Elsa e Alberto si sono conosciuti, è anche l'anno di nascita dei due amori che metteranno fine al matrimonio della coppia Morante-Moravia: Bill Morrow e Dacia Maraini. Bill è un artista malato di epilessia e tossicodipendente, che Elsa incontra a New York nel 1959. Mentre, Dacia e la sua famiglia sono amici dei Moravia da molto tempo e Alberto comincia a frequentarla nel 1960, dopo che lei gli chiede di scrivere la prefazione del suo primo romanzo, La vacanza. La difficile relazione tra Bill e la Morante si interrompe bruscamente quando l'artista, durante una festa e sotto l'effetto di droghe, precipita dall'ultimo piano di un grattacielo di Manhattan. Il dolore per Elsa è insopportabile e, così, inizia un periodo di forte depressione, che si allevia soltanto grazie all'intervento di Pasolini. L'amico regista, infatti, le offre una parte nel suo celeberrimo film Accattone. Questa momentanea gioia non è sufficiente a guarire il male di Elsa, che spesso riversa tutta la sua frustrazione su Alberto. Con grande rammarico, Moravia si vede costretto a lasciare la casa che divideva con la Morante e nel 1962 va a vivere con Dacia. Sebbene Elsa e Alberto non torneranno più a vivere sotto lo stesso tetto, il loro intenso rapporto non si esaurisce qui e continueranno a scriversi lunghe lettere e a sentirsi al telefono quasi ogni giorno.

La Morante in una scena di Accattone La Maraini e Moravia


L'unione mai spezzata tra i due emerge limpida negli ultimi anni di vita di Elsa, i più crudeli. Dopo una caduta che le causa la frattura del femore, un'operazione che non porta i risultati sperati, il ricovero in una clinica di Zurigo e delle improvvise assenze di lucidità e memoria, Elsa si sente troppo infelice per continuare a vivere e una mattina ingoia ventisei compresse di Valium, chiude tutte le finestre ed apre il gas. Il tentativo di suicidio fallisce perché a salvarla sarà Lucia Mansi, la sua domestica da trentasei anni. Qualche tempo dopo, si scopre il motivo di quei momenti in cui la Morante sembra non essere in grado di riordinare i suoi pensieri: Elsa ha una malattia che si chiama encefalopatia involutiva di tipo sclerotico. Dietro questa catena di termini astrusi si nasconde un significato drammatico per una come Elsa: le conseguenze di questa diagnosi sono, infatti, la progressiva perdita dell'intelligenza e l'incapacità di ricordare ed avere idee. Alberto rimane sconvolto dalla notizia e ripeterà a parenti e amici:


“Sapevo che sarebbe invecchiata e avrebbe perso la sua bellezza, ma è terribile che sia stata colpita in quello che aveva di più grande, nella sua mente.”


Elsa viene ricoverata in una clinica di Roma e Alberto è pronto a starle accanto fino alla fine: quando è in città, va a trovarla tutti i giorni, e anche se la Morante non ha le forze di riceverlo, lui rimane fuori, seduto su una sedia vicino alla porta; invece, quando Elsa si sente meglio, le legge romanzi gialli e parlano a lungo. Lo storico Lucio Villari racconta dell'ultima visita di Moravia, prima della morte della Morante per infarto il 25 novembre 1985:


“Lei era distesa con gli occhi chiusi. Moravia si avvicinò, cominciarono a parlare pian piano. Di che parlavano? Di scrittori, di libri. La Morante, con un filo di voce, gli disse una frase che era un testamento: - Alberto, tu parli solo di letteratura.”


Questo “testamento”, come lo definisce Villari, ci ricorda quanto il bisogno viscerale di vivere nella parola scritta abbia unito saldamente questi maestri della letteratura italiana: vita e scrittura intrecciate fino all'ultimo respiro, l'esistenza dell'una ha senso solo in virtù dell'esistenza dell'altra, e viceversa.



Vogliamo lasciarvi con due ritratti conclusivi, che ci mostrano le personalità di questi immensi autori, non tralasciando le loro debolezze e paure. Come abbiamo visto in precedenza, Elsa è categorica: pretende moltissimo da se stessa, e al contempo cerca la stessa cura e dedizione negli altri; se i suoi rigidi standard non vengono rispettati, non c'è spazio per alcuna mediazione. Questo genere di carattere porta a degli scontri inevitabili con gli altri, ma anche e soprattutto con se stessi, ecco perché ripete spesso:


“Io so come dovrei vivere, come bisognerebbe vivere. Io so cosa dovrei fare. Ma non ne sono capace, non ne ho il coraggio e la forza.”


Per Elsa, la superficialità, la leggerezza, il compromesso e la menzogna sono praticamente concetti impossibili da attuare nella vita quotidiana. Per questo, il critico letterario e cinematografico Goffredo Fofi la dipinge in questi termini:


“La sua radicalità imponeva continue e più dure rese dei conti. Ci bastonava. In un mondo in cui tutti, politici e letterati, dicono un sacco di bugie, lei non ne diceva. Dava giudizi spietati... Da certe verità che ti leggeva dentro ci si sentiva scottati.”


Anche se è questo spirito infiammato la causa di molte liti tra lei e Moravia, è proprio ciò che Alberto ama di più in Elsa e lui è uno dei pochi a riconoscere la rarità di questa sua dote. Moravia, infatti, apprezza chi non sta alle regole, chi, sebbene impotente, conserva abbastanza consapevolezza da capire il degrado generale della società e cerca di limitare la sua partecipazione a questa lenta deriva. L'unico dei personaggi de Gli indifferenti che corrisponda in parte a questa descrizione è Michele e in uno dei suoi monologhi, pensiamo si celi l'animo irrequieto di Moravia:


“- Cosa sono? Perché non correre, non affrettarmi come tutta questa gente? Perché non essere un uomo istintivo, sincero? Perché non aver fede? - L'angoscia l'opprimeva: avrebbe voluto fermare uno di quei passanti, prenderlo per il bavero, domandargli dove andasse, perché corresse a quel modo; avrebbe voluto avere uno scopo qualsiasi, anche ingannevole, e non scalpicciare così, di strada in strada, tra la gente che ne aveva uno. - Dove vado? - Un tempo, a quel che pareva, gli uomini conoscevano il loro cammino dai primi fino agli ultimi passi; ora no; la testa nel sacco; oscurità; cecità; ma bisognava pure andare in qualche luogo; dove? Michele pensò di andare a casa sua.”


Elsa e Alberto, come Michele, hanno cercato incessantemente la loro casa, la loro meta, e l'hanno trovata nella letteratura e nel loro legame, così vero e per questo onestamente imperfetto.


Note bibliografiche

Folli, A. (2018), MoranteMoravia. Storia di un amore, Vicenza: Beat.

Morante, E. (2014), L’isola di Arturo, Torino: Einaudi.

Moravia, A. (2016), Gli indifferenti, Milano: Bompiani.


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