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E il naufragar m’è duro in questo mare

Immagine del redattore: Le Due FridaLe Due Frida

Conoscenza e ascolto: come abbattere le frontiere


di Aurora Scremin


“Forse vado oltre, ma quella del molo credo che sia una delle parentesi più felici della vita di questi ragazzi, anche perché quello che vivranno di lì a poco sarà ben diverso. Ma dopo tutto quello che hanno passato, dopo la traversata, ecco finalmente la terraferma. Lì sul molo è una nuova nascita, piena di speranze e di gioia.”


Di fronte al fenomeno della migrazione molto spesso si tende ad assumere un particolare punto di vista, quello tipicamente europeo che vede l’arrivo dei gruppi di persone come motivo di pericolo, di attacco e di instabilità per il proprio Paese. Se invece per un momento si provasse ad abbattere quelle frontiere, costruite dal pregiudizio, dall’ignoranza, nel senso stretto di mancanza di conoscenza, e dalla paura del “diverso”, molto probabilmente ci si arricchirebbe di uno sguardo più ampio che vede la fuga dalle proprie terre natie come unica possibilità di riscatto e redenzione.

A tal proposito, Davide Enia, uomo di teatro e scrittore palermitano, con il suo romanzo Appunti per un naufragio, pubblicato da Sellerio nel 2017 e vincitore del Premio Mondello nel 2018, si inabissa tra le crude testimonianze dei migranti, che dalle coste nordafricane giungono a Lampedusa, e tra quelle sofferte degli isolani, il cui intervento si rivela il più delle volte di fatale importanza. L’autore riporta così in superficie quei relitti di parole, troppo spesso lasciati deliberatamente sul fondale.

Molti sono i silenzi presenti nel libro: quelli che pervadono le strade dell’isola, quelli tra Davide e suo padre, quelli nei luoghi più reconditi del mare; eppure è proprio questa mancanza di parole che predispone ad un ascolto molto più attento di coloro che hanno toccato con mano la morte o che l’hanno per poco sfiorata.

La vera forza del libro di Enia è quella di tenere perfettamente insieme due piani, quello della grande Storia, che dura ormai da una trentina d’anni, e quello dell’intima storia familiare, caratterizzata dalla riscoperta del rapporto con il padre e dal prezioso legame con lo zio Beppe, gravemente malato. Ne risulta un intreccio che scava all’interno dell’esistenza umana, sul senso della vita e della morte.


“Forse, alla fine, tutto si riduce a un bivio: se c’è una persona che sta affogando nel mare in tempesta, io chi sono? Quello che si tuffa, anche a rischio della propria vita, o colui che, terrorizzato dalla morte, rimane aggrappato alla terraferma?”


Il libro è una vera e propria traversata al fianco di quelle persone che si lasciano alle spalle una vita fatta di guerre, torture, violenze, stupri, e che guardano all’orizzonte non solo con speranza ed attesa, ma anche con la piena consapevolezza che in mare si può morire.

Nel corso della lettura è facile naufragare, lasciarsi travolgere dalle onde ed inabissarsi, ma credo che questo sia esattamente lo scopo dell’autore: aprire gli occhi al lettore sulla realtà nuda e cruda di ciò che avviene lungo le coste dell’isola di Lampedusa. Solo attraverso la conoscenza e soprattutto la disposizione all’ascolto si possono abbattere quelle frontiere che separano, oppongono, dividono.

Appunti per un naufragio presenta una grande forza evocativa, dal momento che è caratterizzato da una componente fisica molto importante: il corpo viene rappresentato sin nei minimi particolari, dal tamburellio dei piedi del padre allo sguardo del sommozzatore, dalla mancanza di carne nella gabbia toracica ai segni di una violenza subita.


"Il corpo è un diario in cui è possibile leggere cosa è accaduto […]”.


La forte fisicità del testo e la specificità di Davide Enia come attore teatrale portano l’autore stesso a non seguire le modalità canoniche di promozione di un libro: Enia sceglie di parlarne attraverso un monologo, dal quale successivamente nascerà uno spettacolo teatrale, L’abisso, vincitore del Premio UBU 2019. È proprio il carattere allusivo del libro che ne permette la transmedialità: da testo scritto a rappresentazione teatrale. Sopra il palcoscenico, Enia, accompagnato solamente dal chitarrista Giulio Barocchieri, esprime con tutta la sua capacità espressiva e gestuale la struggente tragedia dei migranti nel Mediterraneo, dando voce a chi la vive in prima persona. Le mani seguono la narrazione, talvolta in modo didascalico; i piedi scandiscono il ritmo con cui le parole escono dalla bocca dell’attore; gli occhi trattengono a fatica le lacrime, comunicando un’interiorizzazione profonda del dolore visto e sentito: tutto ciò ha tanto valore quanto ne ha la parola.



Vi lascio di seguito un piccolo estratto de L’abisso, rappresentato da Enia stesso sul palco di Ricomincio da Raitre il 12 dicembre 2020, con la speranza che porti alla consapevolezza di questa triste ed attuale realtà, oramai invisibile di fronte ad occhi indifferenti ed assuefatti alla moltitudine di immagini.


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