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Primo Levi: il chimico, il sopravvissuto e lo scrittore

di Anna Grespan



Primo Levi. Un nome che sembra riecheggiare nelle nostre vite da sempre. Vorrebbe tenerci fedelmente per mano lungo l'impervio cammino dell'esistenza. Anche chi non si interessa alla letteratura ha sentito almeno una volta parlare di lui. Ma chi si nasconde dietro questo nome? Lo scrittore? Il chimico? Il sopravvissuto? Primo Levi era tutto questo insieme e niente di tutto ciò. Sarebbe riduttivo definirlo solo in questi termini. Primo Levi era innanzitutto un grande uomo, un uomo che ha vissuto sulla sua pelle la crudeltà della storia e ha saputo raccontarla per mezzo di un'arte letteraria sopraffina, impregnata di onestà e coerenza.

Non si può negare che l'intera opera di Levi sia legata all'esperienza traumatica della deportazione nel campo di concentramento di Auschwitz. Nell'appendice aggiunta all'edizione del 1976 di Se questo è un uomo, Levi spiega che se non fosse entrato nel lager, probabilmente non sarebbe diventato uno scrittore. Infatti, prima del 13 dicembre 1943, giorno in cui fu arrestato e temporaneamente imprigionato nel campo di Carpi-Fòssoli insieme al gruppo di partigiani di cui faceva parte, si era laureato in Chimica all'Università di Torino e lavorava per un'azienda farmaceutica di Milano.

Levi sente la necessità e la responsabilità di dar voce a tutti coloro che non riuscirono a sopravvivere alla macchina della morte progettata dal regime nazista e nel 1946, a solo un anno dal suo ritorno a Torino, manda il suo primo libro a tre editori, compreso Einaudi. Inizialmente, tutti si rifiutano di pubblicare Se questo è un uomo, che sarà accettato da una piccola casa editrice, De Silva, nell'ottobre del 1947. Il libro viene dimenticato fino al 1958 quando è riedito da Einaudi. Come mai questo grande editore non comprese subito la rilevanza della testimonianza di Levi? Una possibile risposta ci viene fornita da Italo Calvino, che, nella prefazione all'edizione del 1964 de Il sentiero dei nidi di ragno, riferendosi alla letteratura del periodo postbellico, parla di un coro quasi ossessionato dal racconto delle sofferenze della Seconda Guerra Mondiale. Nel contesto appena descritto, quindi, Levi fatica a trovare il suo spazio nel mercato editoriale, saturo di scritti relativi alla Resistenza e alle vicende della guerra appena conclusasi.

La narrazione del trauma non si conclude con la liberazione dal lager, ma continua nella seconda opera di Levi, La Tregua, pubblicata nel 1963. In questo libro, che vinse la prima edizione del Premio Campiello, si rievoca il periodo immediatamente successivo all'uscita da Auschwitz, quando Levi si trova nel campo sovietico di Katowice e lavora come infermiere. La Tregua viene scritto molti anni dopo il primo libro, mentre Levi è tornato alla sua professione di chimico in una fabbrica di vernici vicino Torino. Nonostante abbia ormai ripreso la sua vita lontana dal mondo letterario, Levi capisce che il suo compito di testimone non è ancora terminato e decide di raccontare proprio in questo romanzo il suo lungo viaggio di ritorno attraverso la Russia, l'Ucraina, la Romania, l'Ungheria e l'Austria.

Dunque, Primo Levi è un superstite che esprime la sua sofferenza scrivendo e non si spinge oltre? Il suo impatto sulla letteratura italiana è molto più forte, in realtà. Ce ne accorgiamo con la raccolta di racconti intitolata Storie naturali, dove affronta temi apparentemente distanti dalla Shoah ed esplora il mondo tecnologico dei laboratori chimici e delle fabbriche, due luoghi protagonisti della sua vita quotidiana. Primo Levi non è solo un insostituibile testimone dello sterminio nazista, è un vero e proprio scrittore che crea arte attraverso la sapiente e lucida trasposizione dei suoi pensieri in parola scritta. Tuttavia, Levi sembra non accettare subito la sua vena artistica: il suo ruolo è quello di rivelare al mondo la barbarie del nazismo, qualsiasi altro argomento risulta superfluo, futile e indegno. Per questo, il libro esce con lo pseudonimo Damiano Malabaila, come suggerito da Ernesto Ferrero della Einaudi. Traspare quasi una sorta di senso di colpa legato a questa curiosa scelta, ma alcuni critici sostengono che il carattere fantascientifico di Storie naturali e lo straniamento tipico di questo genere non siano altro che un modo per reinterpretare la logica paradossale alla base dell'inspiegabile tragedia dell'Olocausto.

Il 1975 è un anno cruciale, in quanto Levi sceglie di abbandonare definitivamente il lavoro di chimico e dedicarsi esclusivamente alla scrittura: sembra finalmente far pace con le sue doti letterarie. Nello stesso anno, riunisce le sue poesie nella raccolta L'osteria di Brema e pubblica Il sistema periodico, nel quale tenta di creare un collegamento tra le sue due passioni: la letteratura e la chimica. In questo caso, lo scopo dell'autore torinese è quello di descrivere le “avventure spirituali” di un chimico. Saul Bellow, autore canadese naturalizzato statunitense, esprime un giudizio estremamente favorevole rispetto a questo libro e grazie a lui l'opera leviana diventa popolare negli Stati Uniti. Come in Storie naturali, anche ne Il sistema periodico il tema di fondo non è la prigionia ad Auschwitz, ma sono comunque presenti molteplici riferimenti espliciti ed impliciti al lager.

Nel 1980 la casa editrice Einaudi avvia un progetto che avrebbe dovuto coinvolgere diversi scrittori invitati a realizzare un'antologia contenente le loro opere preferite. Primo Levi è il solo a portare a termine questo compito, dando vita a La ricerca delle radici. Questa insolita raccolta diventa un pretesto per ripercorrere la sua storia personale attraverso le parole degli autori che più ama: ogni opera inclusa è associata ad una precisa esperienza biografica. Per questo, si può parlare di una “doppia memoria” relativa ad episodi di vita e a momenti di lettura.

Nell'aprile del 1982 viene pubblicato Se non ora, quando?, il primo romanzo di finzione scritto da Levi. Ambientato al tempo del nazifascismo, il libro narra la storia di un gruppo di partigiani ebrei. Il legame con la biografia dello scrittore è evidente, ma è importante sottolineare che questo romanzo non è volto alla testimonianza, ma è nato per il piacere dell'invenzione letteraria. Di conseguenza, scrivere è un dovere per Levi in riferimento al suo ruolo di testimone, ma rappresenta anche una sorta di impulso psicologico, come lui stesso afferma nella prefazione di Ad ora incerta, parlando in particolar modo della poesia:


“In tutte le civiltà, anche in quelle ancora senza scrittura, molti, illustri e oscuri, provano il bisogno di esprimersi in versi, e vi soggiacciono: secernono quindi materia poetica, indirizzata a se stessi, al loro prossimo o all'universo, robusta o esangue, eterna o effimera.”


Ad ora incerta è una raccolta del 1984 e comprende 27 componimenti già contenuti ne L'osteria di Brema, 34 poesie apparse precedentemente nel giornale La Stampa e alcune traduzioni dalle opere dei poeti Heinrich Heine e Joseph Rudyard Kipling. Il titolo riprende un verso di The Rime of the Ancient Mariner di Samuel Taylor Coleridge e intende esprimere il dolore e la vergogna dei sopravvissuti che “in un'ora incerta” sognano i loro compagni deceduti nei campi di concentramento e temono che nessuno possa credere alla loro storia.

Un anno dopo, Levi raccoglie una serie di saggi ne L'altrui mestiere, nel quale si riflette sulle possibili associazioni tra scienza e letteratura. Questo libro rappresenta un ulteriore esempio delle molteplici abilità di Levi, capace di scrivere racconti brevi, poesie, romanzi e persino saggi, approfondendo un'immensa varietà di tematiche. Quindi, Levi si conferma ancora una volta come un grande scrittore che può trattare di una svariata gamma di argomenti, non necessariamente relativi alla Shoah.

L'ultima opera, datata aprile 1986, un anno prima del suicidio, sembra chiudere perfettamente la carriera letteraria di Levi, riconducendolo, seguendo una struttura circolare, al punto dove tutto era iniziato. Il titolo, infatti, è tratto dal capitolo centrale di Se questo è un uomo: I sommersi e i salvati. Qui riassume tutte le sue considerazioni circa l'esperienza del lager e giunge alla conclusione che una testimonianza totalmente oggettiva sia impossibile, prima di tutto a causa del coinvolgimento emotivo del sopravvissuto; in secondo luogo, perché solo coloro che morirono nei campi di concentramento hanno conosciuto fino in fondo l'orrore dell'Olocausto, ma è stata sottratta loro la possibilità di trasmettere la loro verità.

Il dovere della memoria è sempre stato centrale nella vita di Levi, che organizzava periodicamente dei convegni nelle scuole per raccontare agli studenti la sua personale vicenda. L'obiettivo dell'opera leviana è lo stesso alla base degli incontri con i più giovani: ricordare l'irreparabile trauma causato dal nazifascismo al fine di evitare il futuro insorgere di discriminazione razziale, totalitarismi e fanatismi religiosi. Non sarà facile, ma facciamo in modo che l'eco della sua voce e del suo nome non si spenga mai.

Note bibliografiche

Gordon, R. (1999), “Primo Levi, Witness”, Judaism: A Quarterly Journal of Jewish Life and Thought, pp. 1-8.

Levi, P. (2014), Se questo è un uomo, Torino: Einaudi.

Levi, P. (2017), Ad ora incerta, Milano: Garzanti.

Mariani, M.A. (2018), Primo Levi e Anna Frank: tra testimonianza e letteratura, Roma: Carrocci.

Porro, M. (2017), Primo Levi, Bologna: Il mulino.




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