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  • Immagine del redattoreLe Due Frida

Eretici e corsari

di Anna Grespan

Ammetto di aver rubato il titolo di questo articolo da un reading/spettacolo diretto da Giorgio Gallione ed interpretato da Neri Marcorè e Claudio Gioè. Mi sembra davvero la coppia di aggettivi più adatta a definire le personalità di Pier Paolo Pasolini e Giorgio Gaber. I lineamenti duri e definiti dei loro volti esprimono la presenza fisica, anti-convenzionale e scomoda dei loro pensieri. Pensieri che si fanno materia fino a modificare il corpo: il corpo di Gaber che si muove in modo sconnesso sul palco; quello di Pasolini punito dalle molte passioni che l'hanno attraversato. Due esistenze difficili da inquadrare in schemi prestabiliti, due vite in continua lotta: in due parole, eretici e corsari.

Gallione ha intercettato il legame naturale tra i due artisti e, in un'intervista di Frida Nacinovich, ricorda che nel 1993 Gaber aveva dichiarato di sentirsi in debito con il poeta friulano per non averlo mai citato tra i suoi ispiratori. Secondo il regista, alcune canzoni di Giorgio Gaberščik (questo il suo vero nome) sono figlie delle riflessioni contenute in Scritti corsari (1975) e Lettere luterane (1976). Nella stessa occasione a cui fa riferimento Gallione, il cantautore racconta:


“Il rapporto quasi quotidiano con gli scritti di Pasolini mi ha formato, condizionato, plagiato. Piano piano le mie canzoni hanno incorporato, con naturalezza, alcune intuizioni di Pasolini.”


Nel medesimo periodo in cui Pasolini dà vita ai testi che entreranno a far parte delle opere sopra citate, la carriera di Gaber prende una svolta: il giovane conduttore, che aveva esordito a Milano con compagni del calibro di Adriano Celentano ed Enzo Jannacci, inizia a collaborare con Osvaldo Luporini, reinventando il concetto stesso di prodotto concertistico attraverso il teatro-canzone. Il risultato è uno spettacolo misto costituito dall'alternanza di canzoni, monologhi e cabaret. Non si tratta di puro intrattenimento, al contrario, al centro di questa particolare forma d'arte vi è un forte attaccamento all'attualità, nel senso di narrazione ed interpretazione critica degli avvenimenti storici del momento:


“[...] assumono una centralità enfatica i riferimenti alla saggistica politica, al dibattito ideologico, alle clausole del giornalismo impegnato.” (P. Tirone - P. Giovannetti, Poesia e inganno nei cantautori anni Settanta, in Parole in musica. Lingua e poesia nella canzone d’autore italiana)

Gaber e Pasolini attraversano lo stesso periodo storico, in cui l'Italia è in piena trasformazione a causa del cosiddetto boom economico, e decidono di non lasciarsi trasportare da un facile entusiasmo: il benessere della società di quegli anni, infatti, nasconde delle contraddizioni che questi grandi artisti non tardano a portare alla luce. Il moderno capitalismo italiano, rappresentato in modo grottesco e surreale da Gaber, viene sviscerato nelle sue logiche di potere tra le pagine di Pasolini. Nel sito della Fondazione Giorgio Gaber, ben si riassume il punto di vista che il cantautore e lo scrittore condividono circa la situazione socio-economica che entrambi vivono:


“Pasolini analizza un sistema che sta attuando un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità, che fonda il proprio potere su una ipnotica promessa di comodità e benessere, ma che in realtà sta trasformando il cittadino in un uomo che solo consuma.” (giorgiogaber.it)

Gaber, attraverso l'ironia accostata ad un atteggiamento dissacrante, e Pasolini, con un'attenta e a tratti volutamente esasperata analisi della realtà, tentano di “provocare una sorta di captatio malevolentiae, da cui far nascere un dibattito non ipocrita” (giorgiogaber.it). Utilizzando una definizione che dobbiamo ad Antonio Gramsci, si potrebbe parlare di due intellettuali non organici: ciò significa che essi non collaborano alla costituzione di un'egemonia. Negli anni '30 Gramsci usa questo termine per identificare il potere esercitato dalla classe dirigente sulle altre classi: questo potere ha lo scopo di convincere le classi subalterne che gli interessi del gruppo dominante rappresentano gli interessi di tutti. È un tipo di dominio che non si raggiunge tramite la forza, bensì grazie al consenso che si costruisce imponendo un controllo velato e quasi impercettibile sull'economia e sugli apparati statali, come l'educazione e i media. Gramsci considera gli intellettuali organici come coloro che offrono la loro produzione culturale a sostegno di un sistema egemonico. Quello che cercano di fare Gaber e Pasolini, invece, è contrastare con il potente mezzo della parola l'indottrinamento di massa, senza paura di compromettersi e risultare diversi, inopportuni o eccessivi.

Semplificando molto, l'aggettivo di origine gramsciana non organico potrebbe essere spiegato paragonandolo al più comune anticonformista, l'esatto contrario del titolo della canzone di Gaber, Il conformista. In effetti, Pasolini immerge nel suo presente le intuizioni che erano state prima di Marx e poi di Gramsci. Apparentemente, quindi, non c'è niente di originale nelle sue osservazioni, ma quello che davvero colpisce di Scritti corsari è


“[...] il colore livido e luttuoso delle sue constatazioni e dei suoi rifiuti, la tensione esasperata della sua razionalità, una disarmata mancanza di umori ironici e satirici. La forza degli Scritti corsari è anzitutto nella realtà emotiva e morale di questo lutto.” (A. Berardinelli, Prefazione in Scritti Corsari)

Forse, la migliore sintesi dei contenuti di questa raccolta “eretica” è proprio il brano Il conformista. A differenza di Pasolini, Gaber sceglie il linguaggio satirico per sfidare l'ipocrisia dilagante in campo sociale, politico e culturale. Un'anafora ricorrente nel testo della canzone e che sembra in netta opposizione con la definizione di conformista è “io sono un uomo nuovo”. Dietro al riso che suscita questa apparente contraddizione si potrebbe celare un ragionamento più profondo che possiamo attingere da un articolo pubblicato il 24 giugno 1974 e inserito in Scritti Corsari con il titolo de Il vero fascismo e quindi il vero antifascismo:


“L'identikit di questo volto ancora bianco del nuovo Potere attribuisce vagamente ad esso dei tratti moderni, dovuti alla tolleranza e a una ideologia edonistica perfettamente autosufficiente: ma anche dei tratti feroci e sostanzialmente repressivi: la tolleranza è infatti falsa, perché in realtà nessun uomo ha mai dovuto essere tanto normale e conformista come il consumatore […].”


Quello che Pasolini descrive come “nuovo Potere” è il sistema socio-economico nato dalle macerie del fascismo e stabilitosi con la diffusione del consumismo. In seguito all'esperienza traumatica della guerra, l'Italia, nel pieno della sua espansione economica, si sente “nuova” e non si rende conto di essere caduta sotto una diversa tipologia di regime che Pasolini chiama “forma totale di fascismo”: la dittatura del consumo. Gaber ironizza sulla falsa libertà vissuta dal protagonista del suo pezzo e per questo usa il termine “uomo nuovo”, riferendosi all'individuo della cultura di massa, oppure dicendola alla maniera pasoliniana, Gaber sta parlando del consumatore, elemento indispensabile per la sopravvivenza del “nuovo Potere”. Nella prima strofa il “conformista” sembra prendere il distacco dalla vecchia ideologia fascista:


“Io sono un uomo nuovo

talmente nuovo che è da tempo

che non sono neanche più fascista

sono sensibile e altruista orientalista

ed in passato sono stato un po' sessantottista.”


L'individuo al centro della canzone è, dunque, convinto di aver riguadagnato la piena libertà di scelta, ma non è in grado di comprendere che “la smania di attuare fino in fondo lo Sviluppo” (P.P. Pasolini, Scritti corsari, p. 46) l'ha ridotto in uno schiavo assoggettato ad un nuovo potere totalitario più nascosto e subdolo.

Questi grandi pensatori del '900 analizzano con lucidità la società di cui fanno parte e “gridano” le loro idee in forma di musica e scrittura, nel tentativo di smuovere le coscienze. In maniera insolita, questo lato rivoluzionario non ha avvicinato Gaber e Pasolini al movimento studentesco del '68: inizialmente, sono entrambi scettici circa i risvolti concreti di quella lotta politica e sociale. In seguito, però, Pasolini sembra ricredersi e ammette che il livello di omologazione raggiunto negli anni successivi alle contestazioni del '68 è altissimo:


“In una piazza piena di giovani, nessuno potrà più distinguere, dal suo corpo, un operaio da uno studente, un fascista da un antifascista; cosa che era ancora possibile nel 1968.” (P.P. Pasolini, Scritti corsari, p. 48)


Tutto quello che facciamo con il nostro corpo, come lo muoviamo e vestiamo, e quello che desideriamo e sogniamo può essere considerato come un insieme di atti culturali che, secondo lo scrittore di Casarsa, sono influenzati dall'esterno e, in particolar modo, da logiche di consumo. Per questa ragione, l'individualità del singolo viene via via soppiantata dall'uniformità della massa. Gaber “fotografa” questa transizione in alcuni versi del ritornello, dove canta:


“E quando ha voglia di pensare pensa per sentito dire

forse da buon opportunista

si adegua senza farci caso

e vive nel suo paradiso.”


Il pensiero critico svanisce per consentire al “conformista” di “scivolare dentro al mare della maggioranza” (G. Gaber, Il conformista). Il consumismo e i suoi derivati socio-culturali cercano di assediare la nostra mente, rubandoci le parole e persino i sogni:


“Di notte sogna e vengon fuori i sogni di altri sognatori

il giorno esplode la sua festa

che è stare in pace con il mondo

e farsi largo galleggiando il conformista

il conformista.”

In un'intervista a cura di Guido Vergani riportata in Scritti corsari, Pasolini spiega in modo spaventosamente diretto lo stato di “psicosi” in cui versa l'uomo del suo tempo (e innegabilmente anche quello di oggi) a causa dei modelli sociali che vengono imposti:


“L'ansia del consumo è un'ansia di obbedienza ad un ordine non pronunciato. Ognuno in Italia sente l'ansia, degradante, di essere uguale agli altri nel consumare, nell'essere felice, nell'essere libero: perché è questo l'ordine che egli ha inconsciamente ricevuto, e a cui deve obbedire, a patto di sentirsi diverso. Mai la diversità è stata una colpa così spaventosa come in questo periodo di tolleranza. L'uguaglianza non è stata infatti conquistata, ma è una falsa uguaglianza ricevuta in regalo.” (P.P. Pasolini, Scritti corsari, p. 60)


Non si può che rimanere trafitti da un'analisi così pertinente e attaccata al reale. Non ci sono ipocrisia, perbenismo o facili conclusioni: siamo davanti ad una verità che potremmo avere sotto gli occhi ogni giorno, ma che inconsapevolmente scansiamo perché scomoda, forse insopportabile. La libertà, l'uguaglianza e la tolleranza, valori di cui ci riempiamo la bocca continuamente, non sono altro che vane illusioni: false concessioni per rendere invisibile quell' “ordine non pronunciato” che ci spinge ad inserirci all'interno di categorie socialmente accettabili e indirizzate al consumo. Questo il quadro che dipinge amaramente Pasolini e che Gaber, verso la fine de Il conformista, riassume così:


“Poi sfiora il mondo con un dito e si sente realizzato

vive e questo già gli basta

e devo dire che oramai

somiglia molto a tutti noi il conformista

il conformista.”

Gaber, nell'intero testo, alterna alla prima persona singolare la terza persona singolare, passando dal punto di vista interno del protagonista ad uno più esterno, che potrebbe essere il suo, oppure quello del pubblico. In questa strofa, però, la prima persona non si riferisce al “conformista”, ma sembra combaciare con il cantautore stesso, che decide di includersi anche in quel “noi” ormai intrappolato tra i rami del conformismo. La ragione per cui il “conformista” è diventato parte integrante di ognuno di noi è ben spiegata dalle parole granitiche di Pasolini e ci appare chiarissima in questo commento tanto semplice quanto lapidario:


“Il Potere ha deciso che noi siamo tutti uguali.” (P.P. Pasolini, Scritti corsari, p. 60)


Potrei concludere così e non aggiungere altro. Lasciarvi con il peso soffocante di queste 9 parole. Invece, voglio affiancare a questo peso inevitabile anche ciò che ha portato la voce di Pasolini fino ad oggi: la logica e la passione del suo pensiero. Pier Paolo Pasolini aveva fiducia nell'arte e nella cultura, nella loro capacità di svelarci il vero, di mostrarci la necessità del ragionamento. Nella stessa ottica, la musica di Giorgio Gaber non è solo musica, è arte al servizio di una riflessione critica. Concludo, quindi, con qualche riga tratta da uno dei più famosi articoli di Pasolini, in cui cerca di far luce sugli attentati terroristici che colpirono diverse città italiane durante gli anni di piombo. In questo breve estratto, il poeta ci ricorda l'importanza del ruolo socio-politico che l'intellettuale riveste nell'opposizione al potere:


“Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.

Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.” (P.P. Pasolini, Scritti corsari, p. 89)


Note bibliografiche

Ashcroft B. (2007), Post-Colonial Studies: The Key Concepts, New-York: Routledge.

Felici, R., “Le identità di Giorgio Gaber”, Identità/diversità, pp. 311-319.

Nacinovich, F., “Gaber e De André incontrano Pasolini. L'estetica di Giorgio Gallione, regista dell'Archivolto, fra poesia e musica”, Il teatro e il mondo, pp. 9-15.

Pasolini, P.P. (1975), Scritti corsari, Milano: Garzanti.

giorgiogaber.it



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