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  • Immagine del redattoreLe Due Frida

Carlo De Agnoi: fotografia e multivisione di un'anima errante

di Anna Grespan e Aurora Scremin

Carlo De Agnoi è un uomo che nasce e vive a Montebelluna, ma, spinto dalla sua curiosità, esplora molti paesi del mondo con una macchina fotografica al collo. É riduttivo definirlo un semplice fotografo alla ricerca di “immagini-cartolina”, in quanto il suo obiettivo principale consiste nel rappresentare i modi di vita e le tradizioni dei popoli che incontra. Seguendo questo scopo, si imbatte spesso in povertà, disuguaglianze sociali, conflitti etnici, schiavitù antica e moderna e cerca d’intrappolare in una fotografia lo spirito del momento. Carlo è un'anima errante che ha bisogno di immortalare ciò che vede al di fuori di sé per riuscire ad entrare in contatto diretto con quello che risiede dentro di sé. Quindi, un viaggio assume un valore particolare quando la fotografia diventa testimonianza dell’esperienza vissuta, che conduce ad un arricchimento sia personale che artistico.

Se nei reportage etnici uno degli obiettivi è la ricerca dell’umanità spogliata dalle convenzioni sociali, politiche e religiose da cui è mascherata; nei lavori di stampo naturalistico il fine ultimo è rappresentato dalla bellezza, perché è attraverso questa che Carlo vuole sensibilizzare l’uomo circa la salvaguardia dell'ambiente. Egli considera la natura “un rifugio che ha sempre una logica”, dove tutto ha un senso e niente è lì per caso. Quello che il fotografo deve fare di fronte all'armonia della natura è perdersi nel suo ritmo: lasciarsi travolgere dalla velocità dell'acqua di un torrente, per poi abbandonarsi alla lentezza del vento che muove le foglie sugli alberi.

Le foto che Carlo preferisce sono quelle che seguono il mutare delle stagioni e rispettano l'equilibrio dell'ecosistema. Per questo, una domanda che il fotografo dovrebbe porsi spesso è come inserirsi in questo ingranaggio perfetto senza intaccarlo. Alcuni elementi naturali sono effimeri: per esempio, un fiore o una ragnatela possono essere distrutti dal mero passo di un uomo; al contrario, un individuo si sente estremamente indifeso davanti al mare in burrasca. Nella visione di Carlo, quindi, la natura è fragilità e potenza: per certi versi, è maestosa e sopravvive millenni; per altri, invece, risulta debole e facilmente attaccabile.

Tuttavia, De Agnoi ci ricorda che quello stesso fiore e quella stessa ragnatela, anche se distrutti dall'intervento umano, rinascono l'anno dopo con la medesima forza. Prendendo coscienza di questo, Carlo riesce a ritrovare la speranza e la calma necessarie per far fronte alla frenesia del presente, dove ci troviamo travolti da continui stimoli, che ci impediscono di fare delle scelte ragionate. Nelle sue esperienze in zone non contaminate dal progresso, è stato capace di cogliere la semplicità di una vita basata sui bisogni primari, una vita che può rivelarsi inaspettatamente ricca perché in grado di offrire maggiore consapevolezza rispetto alle vere priorità.

Vi starete chiedendo come facciamo a sapere tutto ciò. Ebbene sì, abbiamo un segreto. Abbiamo avuto il piacere di scambiare due parole con il protagonista di questo articolo: in ben due occasioni, il 16 ed il 24 agosto 2021, siamo state accolte a casa di Carlo e, solo dopo una tazza di caffè, abbiamo cominciato a discorrere della vita e poetica dell'artista. De Agnoi si avvicina alla fotografia all'età di 14 anni, grazie ad una camera oscura ereditata inaspettatamente. Nel 1992 avviene il suo primo incontro con una nuova forma d'arte e ne rimane folgorato. Si tratta della multivisione, una commistione di diverse arti, tra cui la fotografia, la musica e la scrittura. Questa unione, coinvolgendo contemporaneamente quasi tutti i sensi, crea un qualcosa di completamente inedito, non paragonabile né alla filmografia, né alla sola musica. Da quel momento, gli scatti di Carlo si evolvono in funzione della multivisione. Infatti, secondo De Agnoi, l'occhio del multivisionario “inizia a vedere particolari che un fotografo non vede”. La multivisione permette di dare una tridimensionalità al proprio mondo espressivo, perché riesce a comunicare degli aspetti non puramente estetici, che suscitano un pensiero critico sulla realtà: per questo, Carlo definisce la multivisione come una “denuncia poetica”. La poesia di un lavoro multivisivo si fonda soprattutto sulla scelta musicale: non deve avere un'impronta troppo soggettiva per lasciare libera interpretazione allo spettatore, ma deve essere abbastanza caratterizzante da creare un’atmosfera che susciti delle emozioni. La musica, quindi, disegna lo stato umorale del pubblico ed evoca molteplici suggestioni. L'effetto poetico è anche dato dalle immagini fisse che, a differenza di un film, rendono la visione più lenta e meditativa. Inizialmente, venivano usati i proiettori per diapositive, che presentavano alcune difficoltà nel sincronizzare immagini e musica, ma il vantaggio della diapositiva era la veridicità dello scatto, in quanto non era modificabile. Il passaggio al digitale ha velocizzato la realizzazione esecutiva, permettendo anche l'inserimento di spezzoni video.

Durante il secondo incontro con Carlo, abbiamo visto alcune delle sue opere, tra cui Lo spirito errante e Messaggio in bottiglia: nella prima è protagonista la natura con la sua ineluttabilità; la seconda vede l'uomo al centro della narrazione. Lo spirito errante è una combinazione di fotografie e riprese nata nel 2018. É inverno, Carlo e la moglie Tiziana si trovano in un'abitazione in Norvegia e fuori il maltempo imperversa. Al sicuro in questa casa, i due si chiedono: “Saremmo in grado di vivere qui isolati per sempre?”. Da questa domanda nasce un lavoro che mette in evidenza la duplice necessità dell'uomo di ricercare la pace nella vastità della natura e, al contempo, di vivere la sua socialità. Infatti, questa contraddizione viene ben rappresentata dal passaggio dall'ambiente interno a quello esterno: nella prima inquadratura siamo in una stanza e si vede una finestra che si affaccia su un paesaggio innevato, creando un confine fisico tra il mondo civile e quello non contaminato dalla presenza umana. Si susseguono scenari che mostrano l'immensità della natura, ma alla fine di questo viaggio si ritorna al punto di partenza, quasi ad indicare una possibile risposta alla domanda iniziale: l'uomo, ormai, sembra essere troppo civilizzato per riuscire ad adattarsi a luoghi non violati dal progresso umano. Questa opposizione rispecchia anche il sentire di Carlo, che riconosce il bisogno di instaurare rapporti interpersonali, ma sostiene anche sia molto difficile trovare persone che rispettino le regole di convivenza e questo lo spinge a pronunciare una frase tanto scomoda, quanto potente e onesta: “Ho i miei problemi con l'umanità”. Queste parole potrebbero benissimo appartenere a molti artisti del passato che esprimevano nelle loro opere il desiderio di solitudine ed estraneazione. Si tratta di personalità reiette, anticonformiste ed inquiete che trovavano nella natura l'appagamento dell'eterna insoddisfazione umana. Sebbene Carlo sia molto affezionato alla corrente espressionista, noi lo descriveremmo utilizzando gli aggettivi sopracitati, che ben si addicono ad un altro movimento, ossia il Romanticismo. A conferma di ciò, molte vedute marittime presenti ne Lo spirito errante ci ricordano il quadro-simbolo di questo filone: Il viandante sul mare di nebbia realizzato dal tedesco Caspar David Friedrich nel 1818.

In Messaggio in bottiglia ci troviamo davanti ad una serie di ritratti scattati negli angoli più remoti del pianeta. Per realizzare questo reportage etnico, come anche altri lavori simili, De Agnoi può intraprendere due strade diverse riguardo l’approccio fotografico con la gente: entrare in sintonia con il soggetto della foto, instaurando una comunicazione con il rischio di perdere la spontaneità; oppure, fermarsi nelle vicinanze e catturare delle immagini che ritraggono il soggetto mentre svolge le proprie attività quotidiane.

Tuttavia, Carlo sottolinea che la totale naturalezza della foto non è del tutto possibile, in quanto lo scambio visivo e relazionale tra il fotografo e la persona coinvolta provoca inevitabilmente una reazione nella gestualità e nell'espressione di quest'ultima. Questo potrebbe essere interpretato come un aspetto negativo, invece crediamo sia una delle qualità principali della fotografia, perché essa non riproduce fedelmente la realtà, bensì mette sempre in luce la visione personale e soggettiva di un singolo individuo, il fotografo.

In questa foto scattata in Niger del Sud, ci si perde nei grandi occhi scuri dotati di una luce singolare. Si vede paura, ma anche tanta forza. Guardando con maggiore cura, ecco che si scorge un’ombra: il riflesso del fotografo, che diventa anch’esso soggetto dello scatto. Si potrebbe pensare ad una similitudine tra l’esperienza del fotografo e quella di Marina Abramović nella sua performance The Artist Is Present (2010): lo sguardo reciproco obbliga a osservare se stesso nel confronto con l’altro; gli occhi dell’altro diventano uno specchio in cui ritrovare i propri pensieri, sentimenti e il proprio dolore. Il tempo è come se si fermasse e diventasse un eterno presente. Se da una parte gli occhi della bimba creano spazio in profondità, dall’altra le gocce d’acqua che ricoprono il suo volto danno spessore e consistenza all’immagine. É una foto che vive, si tocca, si percepisce.

In quest'altra rappresentazione con protagonista una donna dello Sri Lanka, Carlo sembra agire istintivamente, conferendo all'immagine un’apparente spontaneità. Non sappiamo quale sia la storia dietro a questa foto, ma quella che ci piace visualizzare è Carlo che cammina e all’improvviso intravede la figura di una donna immersa in un celeste acceso e decide di immortalare il momento senza che la protagonista lo venga mai a sapere. La donna, infatti, non sembra accorgersi della presenza del fotografo, che la osserva dalla giusta distanza per non interrompere il suo momento di voluta solitudine. Allo spettatore è concesso vedere solo uno scorcio dell’intera scena, un piccolo rettangolo incorniciato dall’azzurro delle pareti: anche questo particolare suggerisce la volontà di non infrangere la riservatezza del quadro. Rapiti dalla chiara calma di questa fotografia, le parole che emergono dal fondo della mente sono essenzialmente due: intimità e raccoglimento. La donna è avvolta nella densità del colore, che la protegge dal frastuono e dal caos del mondo esterno. Si concede una pausa con un libricino tra le mani: il libro è usurato dagli anni, esattamente come lo sono le mani rigate dal tempo e dalle grosse vene in evidenza. Nonostante la fragilità delle pagine e le piccole dimensioni, la donna afferra con forza la fonte del suo raccoglimento. Magari si tratta di un libro di preghiere, e quindi il raccoglimento sarà di tipo religioso, oppure ci troviamo davanti ad un altro tipo di pace: quella della semplicità e del volersi incontrare con se stessi nell’intimo della propria unicità di essere umani.

Alla fine del nostro incontro abbiamo chiesto a Carlo cosa ne pensa dell’avvento dei social network in relazione alla fotografia: il fotografo sostiene che piattaforme come Instagram e Facebook abbiano ampliato la base espressiva, permettendo a tutti di approcciarsi a questa attività, ma l’abbondanza inquina il panorama artistico. Così, le persone si trovano inondate di input, sono ubriacati ogni giorno da una moltitudine di post e stories, tanto da non distinguere più cosa ha un valore artistico e cosa no. Secondo De Agnoi, non bisognerebbe improvvisarsi artisti e consiglia ai giovani di studiare i grandi classici, sperimentare i vari generi e porsi degli obiettivi comunicativi da raggiungere, anche se lo si fa per puro diletto.

Vorremmo concludere prendendo a prestito il pensiero di un amico di Carlo, il poeta e filosofo Mauro Elasdi, che lo descrive come un uomo che “non ha paura di emozionare ed emozionarsi, raccogliendo poesie con un semplice clic”.



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