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  • Immagine del redattoreLe Due Frida

Diego e io

di Anna Grespan e Aurora Scremin

“La verità è che ti fa paura l'idea di scomparire, l'idea che tutto quello a cui ti aggrappi prima o poi dovrà finire”... vi dicono qualcosa queste parole? Se la risposta è affermativa, allora vuol dire che sapete chi è Brunori Sas, in caso contrario ve lo presentiamo noi. Cantautore italiano definito “indie-pop”, anche se le etichette non ci piacciono. Diremo semplicemente che fa bella musica. Ha esordito nel 2009 con l'album Vol. 1, ma ha raggiunto la popolarità solo nel 2016 con la canzone sopra citata, La verità. Più recentemente, i singoli Al di là dell'amore e Per due che come noi hanno riscosso un buon successo. Oggi non intendiamo parlare di queste canzoni, ma di quelle meno conosciute. La produzione di Brunori Sas, infatti, nasconde delle piccole perle sia a livello testuale che musicale: ci riferiamo a vere e proprie poesie, nelle quali le parole non sono mai usate a caso e hanno il potere di suscitare immagini nitide. Il contenuto dei testi non è mai scontato, il messaggio mai banale.

Vogliamo soffermarci su una di queste perle: Diego e io, inclusa nell'album A casa tutto bene, uscito a gennaio 2017. Il Diego del titolo è Diego Rivera, pittore e muralista messicano che sposò la nota artista Frida Kahlo nel 1929. La relazione tra i due non fu per niente facile: le difficili condizioni di salute di Frida, gli svariati tradimenti da parte di entrambi i coniugi, i viaggi legati alla loro attività artistica, un aborto spontaneo e le loro forti personalità misero a dura prova il loro amore. Tutto questo viene sapientemente raccontato dalla penna di Brunori Sas, che assume il punto di vista di Frida: è proprio lei che ci parla in modo viscerale del suo dolore, della sua passione e delle sue fragilità.

La sofferenza è la chiave interpretativa dell'intera opera di Frida Kahlo, che cercava di riversare sulla tela la frustrazione causata dalle gravi lesioni riportate in seguito ad un incidente stradale. Immobilizzata a letto, grazie all'ausilio di uno specchio, riusciva a comporre degli intensi autoritratti. Proprio in quella stanza, nonostante i dolori lancinanti, è stata capace di coltivare la sua passione per l'arte. Ecco perché Brunori presta la sua voce a Frida, cantando:


Questo letto, questo specchio ormai rifletterà

sulla tela solo il mio dolore

che ho provato ad annegare in fiumi di Mezcal

ma il dolore, sai, lui sa nuotare.


In quest'ultima frase, il cantautore riprende proprio le parole della pittrice che personifica il dolore, attribuendogli la capacità di nuotare. Immersi tra le note della canzone, la sensazione è quella di inabissarsi tra le onde di un mare nero, senza fine. L'arte della Kahlo, in effetti, rivela che il tormento è parte integrante dell'esistenza umana, quindi è inutile cercare di rimuoverlo, perché non accettarlo e farne slancio vitale? Questo è proprio quello che Brunori intende quando in Secondo me, scrive:


Se c'è una cosa che mi fa spaventare

del mondo occidentale

è questo imperativo di rimuovere il dolore.


Una regola non scritta della società in cui viviamo oggi è esattamente questa: nasconditi se soffri, evita il pianto, fingi la felicità, non mostrare le tue debolezze. Essere indecisi e insicuri non è permesso. Da quando nasciamo, fino all’ultimo giorno, il percorso è già stabilito, sarà sufficiente seguirlo ciecamente, non fare, e soprattutto non farsi, domande e tutto andrà come deve andare. Frida, invece, ha voluto sfidare le convenzioni imposte dall’esterno e si è fidata della sua particolare percezione del mondo, una visione che abbraccia le fragilità e sembra quasi volerle esibire, senza vergogna. Brunori Sas sottolinea questa caratteristica lungo tutto il testo e la definisce, utilizzando di nuovo un’immagine evocativa, “bimba di cristallo”.


La Kahlo non si arrende all’infermità fisica, alle difficoltà nelle relazioni e nella vita da artista e attivista politica. Affronta tutto questo con l’arma più potente che possiede, la pittura, e non nasconde mai lo sconforto che la assale in alcuni momenti bui. Accetta l’imperfezione e ne fa un vanto. L’errore fa parte del processo di crescita di ognuno di noi e i dipinti di Frida ci raccontano di errori continui, distruggono, con la vivacità dei colori e l'irregolarità delle forme, qualsiasi canone di bellezza classico. Insomma, ci offrono una via d’uscita rispetto alla prevedibilità e alla noia della perfezione. Dall’ammissione della fragilità può nascere il bello:


Braccia forti che purtroppo non ho avuto mai

per tenerti e non lasciarti andare.


Così troviamo scritto in Diego e io: Frida non è mai riuscita ad imporsi sul marito, ma è sempre stata consapevole della mancanza di “braccia forti” e questa carenza non le ha impedito di realizzarsi. Le sue braccia logorate dal dolore non erano in grado di trattenere l’uomo che amava, ma, in un estremo atto di ribellione, hanno dato vita ad opere d’arte intramontabili.

Nel ritornello leggiamo una descrizione inusuale e forse poco romantica della coppia:


Siamo il mostro e la bambina.

Il trionfo e la rovina, noi.



Se si osservano le foto di Diego e Frida insieme, si può notare subito la differenza di aspetto fisico tra i due: l’uomo alto, corpulento e dai lineamenti asimmetrici; la donna più bassa e minuta, una bimba nelle mani di un mostro, appunto. Eppure, Frida era fortemente affascinata dalla fisicità imponente di suo marito. Questa apparente contraddizione fa riaffiorare un concetto che in filosofia, letteratura e arte ha avuto grande risalto nel corso degli anni: il sublime. Tradizionalmente, questo sentimento viene suscitato solo da elementi che si trovano in natura, nulla di umano può provocarlo. In questo caso, però, vogliamo estendere anche all’uomo la seguente accezione del termine: il fascino di “ciò che è al limite”, l’attrazione verso ciò che è incomprensibile e spaventoso. Edmund Burke, in uno scritto del 1757, distingue tra il “bello”, legato all’idea di equilibrio, delicatezza e colore, e il “sublime” che racchiude terrore e meraviglia, allo stesso tempo. Sulla scia di questa definizione, possiamo immaginare che Frida fosse impaurita e contemporaneamente attratta dalla grandezza, sia fisica che morale e artistica, di Diego.

Rivera ritratto come un mostro che ispira l'incontrastabile sensazione del sublime. A questo punto, il rimando ad uno dei mostri più famosi della letteratura ci sembra d’obbligo: protagonista di uno dei più noti romanzi gotici della storia, ci riferiamo all’essere soprannaturale creato dal dottor Victor Frankenstein. In Frankenstein (1818) di Mary Shelley, si assiste alla nascita di quella che sarebbe dovuta essere una creatura perfetta e, invece, viene poi chiamata dal suo stesso creatore “the miserable monster”. Anche questa storia estremamente avvincente sembra volerci dire, un po’ come la vita e l’arte della Kahlo, che la ricerca della perfezione porta prima o poi alla distruzione. Davanti alla sua creatura, il dottor Frankenstein prova un sentimento a cui non riesce a dare un nome, parla di stupore e disgusto insieme: si tratta, anche qui, di sublime. Non è in grado di accettare la diversità di quel mostro a cui lui stesso ha dato vita e lo abbandona: qui ha inizio il lungo percorso di civilizzazione di questo essere miserabile, che impara da solo a parlare, leggere e scrivere. Nonostante questi suoi sforzi, la bestia creata da Frankenstein continuerà a vivere in solitudine, senza un nome ed emarginata ai confini di una società che ha paura del diverso e dell’anormale. Questo senso di abbandono, esclusione e incomprensione colpiva probabilmente anche la coppia di artisti al centro della canzone di Brunori Sas: Diego e Frida sempre sull’orlo della rottura, travolti da una passione talmente forte da non escludere la rabbia e lo scontro, complici e nemici, “il trionfo e la rovina”.

Due persone esteticamente diverse, eppure così profondamente ed indissolubilmente legate. Il loro fu un amore trascendente, completamente distaccato dalla realtà, un sentimento in grado di sussistere nonostante i numerosi tradimenti che si verificarono nel corso della loro relazione. Talmente forte fu la dipendenza l’uno dall’altra che, soltanto un anno dopo il divorzio avvenuto a seguito del tradimento di Diego con la sorella di Frida, il “mostro” tornò a bussare alla porta di lei. Frida lo perdonò e lo accolse nuovamente tra le sue fragili braccia. La passione tra i due, impetuosa ed irragionevole, valicò il rispetto della loro individualità e dignità. In Diego e io la passionalità descritta sino ad ora emerge in tutto il suo ardore nel ritornello:


Brucia la mia carne senza te,

la mia saliva e il mio sudore;

brucia questa nostra casa azzurra,

brucia il mio corpo per amore.


La reiterazione del verbo “bruciare” ci fa percepire la brama, il desiderio annichilente di Frida: Diego è ossigeno e senza di lui tutto divampa e si riduce in cenere. Egli diventa il collante in assenza del quale i mille pezzi, di cui l’esile corpo di lei è composto, si sbriciolano. Non a caso nel testo della canzone si legge “questo corpo ormai non mi appartiene”: Frida, alienata dalla propria fisicità, esiste esclusivamente sotto forma di amore per Diego e per la pittura.

L’intero testo di Brunori Sas è permeato da immagini, colori, sensazioni come quelle appena elencate. Prendiamo ad esempio l’incipit del refrain:


Volano i pavoni,

sembrano aeroplani contro le finestre.


Leggendo questo piccolo frammento, appare davanti a noi una finestra intelaiata, oltre la quale si stagliano i pavoni con il loro variopinto piumaggio. Questa immagine porta inevitabilmente ad un parallelismo con i quadri dell’artista: la finestra come la tela, i pavoni come i colori intensi che lei riversa sulla trama del supporto. In un solo giro musicale, i pavoni perdono la loro tridimensionalità corporea per diventare i soggetti di una possibile opera. Vi chiederete: perché proprio i pavoni? Oltre all’intensità dei colori delle piume che ricorda quella delle tonalità utilizzate da Frida, si noti come il blu intenso che caratterizza il busto di questi volatili richiami quello dei muri della Casa Azul di Frida e Diego. Inoltre, non crediamo sia una pura casualità il fatto che nei giardini del Museo Dolores Olmedo, allestito nella casa di una delle amanti di Rivera, siano presenti stupendi pavoni.

Ora non ci resta che ascoltare. L’invito è quello di chiudere gli occhi e lasciarsi guidare dalla musica e dalle parole, permettendo alle immagini create dalla nostra mente di affiorare liberamente e spontaneamente. Saranno quattro minuti, durante i quali ognuno di noi avrà la possibilità di entrare in punta di piedi nella piccola grande anima di Frida Kahlo, visualizzandone letteralmente gli aspetti cruciali della vita.













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